
Salvador Dalì torna a Roma e lo fa alla grande. Dopo l’esposizione piuttosto irrilevante, conclusasi nel luglio 2025 e ospitata al Museo Storico della Fanteria, finalmente al Museo del Corso in Palazzo Cipolla una mostra sottolinea la genialità, la creatività, la capacità innovativa di uno dei maggiori artisti del secolo scorso.
Dalì- Rivoluzione e Tradizione, aperta dal 17 ottobre al 1 febbraio 2026, inquadra nella giusta prospettiva un pittore la cui grandezza è stata spesso oscurata e perfino screditata dal protagonismo narcisista del personaggio. Le sue volute provocazioni, i travestimenti inconsueti, le tante interviste provocatorie, le feste e le frequentazioni sfrontate hanno preso il sopravvento nell’immaginario collettivo. Compresa la sua avidità economica , specie durante il periodo trascorso negli USA. Tanto da essere ribattezzato nel 1939 da André Breton, fondatore del Surrealismo di cui Dalì è uno dei maggiori esponenti, avida dolares (avido di dollari), anagrammando il suo nome.
La mostra romana mette a fuoco l’enigma Dalì grazie al rigore e alla competenza della Fundació Gala-Salvador Dalì e la direzione scientifica di Montse Aguer, Direttrice dei Musei Dalì, all’accuratezza filologica, all’ampiezza documentale, all’analisi e indagine minuziose del percorso creativo del pittore catalano e alla presenza di opere provenienti dalla Fundació e da musei internazionali, come Thyssen -Bornemisza e il Reina Sofia di Madrid. Nel corposo percorso espositivo ne emergono la profonda conoscenza della storia dell’arte, lo studio intenso, la riverenza verso i maestri del passato che, nel caso di Raffaello, Velázquez e Veermer, diventano costante punto di riferimento, assieme , fra i moderni, a Picasso. Il pittore andaluso , maggiore di circa venti anni, è considerato il modello a cui ispirarsi ma anche da sfidare visto che Dalì non si ritiene affatto inferiore.
Le quattro sezioni della mostra romana, divise fra questi maestri ideali, evidenziano con opere pittoriche, filmati, documenti e foto come questi maestri siano stati riferimento e confronto ininterrotto per l’artista. In apertura della mostra il rimando è Picasso come mostrano le eccellenti opere cubiste di Dali. Non a caso, arrivato a Parigi nel 1926, va a trovarlo nello studio sottolineando come prima di visitare il Louvre è da lui che ha preferito andare. Poi il modello diventa Raffaello come evidenzia, accanto all’autoritratto del pittore urbinate, quello di un giovane Dalì nella stessa postura che voleva essere “il Raffaello del mio tempo e il Salvador della pittura moderna”. Costante il rimando fra tradizione e rivoluzione in un’ispirazione che pur basandosi su una profonda conoscenza degli antichi maestri è pervasa da un’eccezionale e rivoluzionaria capacità di innovazione. Lo precisano le opere surrealiste in cui Dalì crea un universo tutto suo, occupato da oggetti destinati a diventare emblematici.
Manichini, orologi molli, elefanti, pagnotte di pane, cavalieri, inseriti quasi oniricamente con lo sfondo costante del paesaggio mediterraneo roccioso, ventoso e luminosissimo dei luoghi della sua vita. Dalla nascita alla morte, a parte la parentesi statunitense: Cadaqués, Port Lligat (qui ha costruito ampliandola nel tempo la sua casa studio in riva al mare), Figueras, luogo di nascita e dove oggi si trova il superbo Museo a lui dedicato. Un posto imperdibile per apprezzarne la grandezza, con una speciale sezione riservata ai capolavori di gioielleria realizzati su suo disegno. Altro faro Velásquez dalle cui Meninas era ossessionato tanto da rielaborarne parecchie rivisitazioni, inserirle nei suoi quadri, vedi in mostra La perla- L’Infanta Margarita, e adottare i baffi esibiti da Filippo V nella celebre tela del maestro. Studioso di matematica e geometria elabora complesse teoriche tecniche per riunirle nel trattato 50 segreti per dipingere, opera complessa di cui vediamo in mostra molte pagine originali affiancate da disegni in cui Dalì riproduce, analizza e scompone la produzione di Piero della Francesca e di altri grandi del passato unendo nelle sue ricerche il Rinascimento alla fisica contemporanea.
Proprio in Vermeer e soprattutto nella sua La Merlettaia trova perfezione matematica e cosmica e non solo riproduce spesso il quadro ma ne fa presenza costante nello studio di Port Lligat. Lo testimoniano numerose foto. Emblematica quella in cui con una riproduzione incorniciata de La Merlettaia si immerge nelle acque antistanti lo studio in compagnia della moglie Gala. Musa, madre, ispiratrice angelo custode, implacabile esattore dei crediti e nell’ottenere i massimi compensi per “il maestro”. Il regista Luis Bunuel, dall’amicizia con Dalì è nato nel 1929 il film-capolavoro surrealista “Il cane andaluso”, racconta che Gala , davanti allo stupore di tre cineasti americani rispetto alla cifra richiesta per filmare qualche minuto il pittore al lavoro, replicò secca :”Conoscete il filetto? Di quello alto e tenero? E sapete quanto costa? Beh, Dalì mangia solo quello ”. Ambiguo e geniale, avido e mistico, codardo e audace, coerente e illogico. “Uno, nessuno e centomila”, potremmo definire Dalì, secondo una visione pirandelliana. Ci teneva il pittore a mostrare di possedere tante personalità, pronto a rinnovarsi costantemente per apparire agli altri sempre diverso, diventando lui stesso personaggio. Mascherarsi per essere liberi, alla fine, di essere ”nessuno” offrendo al mondo solo il fascino ambiguo del nostro mistero. Ma dietro “la messa in scena” c’è la genialità e la mostra di Palazzo Cipolla stabilisce i giusti equilibri di un’icona del XX° secolo.
Foto: Monkeys Video Lab











